Invalsi 2022, per rispondere ai quiz a crocette «basta» saper leggere.
Anche se noi docenti storciamo il naso, le prove Invalsi servono a misurare la capacità di comprensione di un testo che è alla base della lettura. Come insegna la psicolinguistica, leggere vuol dire mettere in relazione l’ignoto con ciò che già sappiamo: fare una predizione
In questi giorni e fino alla fine del mese si stanno svolgendo le prove Invalsi di italiano per la quinta superiore: sono prove di livello nazionale atte a «misurare» i risultati dell’apprendimento dell’idioma gentile, per usare un titolo di un saggio di Edmondo de Amicis. Quali sono dunque gli ambiti che vengono quantificati? Non la trasmissione di contenuti disciplinari che spesso sfiora il nozionismo, ma lo sviluppo di competenze come ad esempio saper individuare la natura del testo, saper fornire eventuali spiegazioni, saper cogliere il significato di passaggi o di specifiche espressioni, se non addirittura l’intenzione dell’autore.
Come è noto, la lettura è un processo, un’abilità non completamente naturale, che consiste nel mettere in relazione il nuovo con il già noto. Volendo approfondire l’abilità di comprensione e lettura, possiamo dire che la predizione è il cuore della lettura: tutti gli schemi mentali che costituiscono la nostra conoscenza del background di luoghi e situazioni, di discorsi scritti, generi e storie, ci mettono in grado di fare predizioni quando leggiamo e in questo modo di capire, sperimentare e provar piacere per ciò che leggiamo. Quando leggiamo un testo, empiricamente, diciamo di «seguire» il testo. Ma cosa significa esattamente seguire il testo? Quando leggiamo, facciamo in realtà predizioni, tentiamo di predire il significato del testo, e progressivamente, leggendo le parole o le frasi che confermino o meno la nostra interpretazione, eliminiamo l’incertezza delle alternative; cerchiamo, dunque, il senso generale, mentre la nostra mente è impegnata a fare un certo numero di predizioni dettagliate e, al contempo, a verificarle. Esse hanno una piattaforma comune a livello operativo: le nostre aspettative più generali circa gli specifici punti cui il testo ci vuole condurre nel suo insieme. Secondo Frank Smith, autore del saggio fondamentale Understanding Reading. A Psycholinguistic Analysis of Reading and Learning to Read: «Noi comprendiamo quando possiamo dare senso all’esperienza. La comprensione durante la lettura consiste nel dare senso al testo, mettendo in relazione il testo scritto con ciò che vogliamo conoscere o sperimentare». L’identificazione del significato è sinonimo di comprensione: il significato non risiede nelle strutture di superficie, in attesa di essere preso (picking up), ma, essendo inerente al testo letto, è sempre relativo a ciò che il lettore conosce già e a ciò che vuole conoscere.
Date queste premesse di psicolinguistica, brevemente poste in rilievo, è necessario, durante il corso dei cinque anni della scuola superiore, continuamente esporre gli alunni a un input, cioè a un materiale scritto oppure orale, basato su una lingua italiana diversificata e complessa: la lettura del manuale in adozione ovvero il libro scolastico deve ritornare in voga al posto delle mappe concettuali che «semplificano» una rielaborazione razionale di un testo. Leggere in classe, sotto la guida del docente, un breve articolo scientifico, oppure leggere un tradizionale elzeviro giornalistico fa bene! Anzi, io stesso, nella mia pratica scolastica, utilizzo in chiave didattica questo genere di articolo, specialmente se a firma di eminenti studiosi o scrittori: trovo che sia un buon compromesso. Oppure anche le «rubriche» di alcuni giornalisti. Questo ha il doppio vantaggio per i nativi digitali, disabituati a una lettura intensiva e impegnativa: educare al valore stesso della complessità di un testo «reale» e non scolastico, alla elaborazione e «processazione» di un testo breve e in sé concluso, spesso inerente a tematiche di attualità. E poi spesso desta curiosità e interesse nei ragazzi: sarà perciò possibile avviare un dibattito in classe. Le prove Invalsi dunque – anche se noi insegnanti siamo soliti storcere il naso contro il fenomeno della “invalsizzazione”, dei quiz a risposta multipla dei test standardizzati – possono offrire la bussola per poter orientare la didattica del testo, con l’aggiunta che «il dare senso» al testo deve essere sempre in relazione con contenuti appresi e auspicabilmente compresi.
*professore di Italiano e Latino presso il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Milano e docente a contratto presso l’Università degli Studi di Milano
FONTE: CORRIERE DELLA SERA