Laboratorio Adolescenza, gli effetti della Dad: i giovani non vogliono più iscriversi all’Università
Presentato il rapporto: calano gli studenti che immaginano una formazione terziaria. E due su tre temono che l’anno prossimo si torni da capo con contagi e quarantene.
L’anno secondo dell’era Covid è andato, dal punto di vista della pandemia, come gli studenti se lo aspettavano. Mentre riguardo l’effettiva preparazione solo il 30% degli studenti ha affermato che gli effetti negativi derivanti da questo lungo periodo di alternanza scuola-Dad-quarantene sono stati pochi o addirittura nessuno, ll 70% riconosce, invece, che la formazione è stata penalizzata abbastanza o molto. I dati provengono dall’edizione 2022 dell’indagine nazionale sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia, realizzata annualmente dalla associazione no-profit Laboratorio Adolescenza e dall’Istituto di ricerca Iard su un campione nazionale rappresentativo di 5.600 studenti della fascia di età 13-19 anni.
Gli effetti della Dad
Che la penalizzazione ci sia effettivamente stata lo confermano gli attori in campo, ancora impegnati negli gli ultimi colloqui orali degli esami di Stato. «Il deficit formativo, specie in alcune materie di indirizzo come la matematica, c’è ed è evidente – conferma Lucia Girolamo, dirigente del liceo scientifico Galileo Galilei di Potenza – anche perché non tutte le classi hanno avuto, causa pandemia, un percorso omogeneo anche all’interno della medesima scuola. Il mix Dad–presenza, dettato ovviamente dai contagi, non è certo una condizione ottimale per garantire una preparazione adeguata e i risultati lo stanno testimoniando». Un esame di stato «ponte» tra quello estremamente «light» dello scorso anno e quello «classico» ha avuto la funzione di tener conto proprio delle difficoltà rilevate dalla dirigente. Ma la gradualità è la strada giusta per tornare alla normalità? «Sì – conviene ancora Lucia Girolamo – a condizione che per normalità non si intenda un ritorno al passato tout-court. L’esperienza vissuta durante la pandemia, nel bene e nel male, ha modificato irreversibilmente la scuola e non potremo non tenerne conto. Fatta salva l’imprescindibilità della scuola in presenza, anche per la funzione sociale che assolve, e l’insostituibilità della figura dell’insegnante nei processi di formazione e apprendimento, metodi e criteri formativi e valutativi devono inevitabilmente introdurre elementi e strumenti innovativi. Ragion per cui anche l’esame di maturità non potrà mai più essere quello che abbiamo lasciato nel 2019».
La diffidenza
Ma al di là del consuntivo dell’anno scolastico appena concluso e delle previsioni per il prossimo (il 63,6% degli studenti teme che, per quanto concerne il Covid, in autunno saremo punto e da capo) c’è una evidenza, emersa dall’indagine, molto preoccupante, che riguarda il futuro formativo post-scolastico dei nostri adolescenti. Solo il 63% degli studenti intervistati ha in programma di iscriversi all’Università (ovviamente con un forte divario tra gli studenti dei licei e quelli degli istituti tecnici e professionali), mentre il 33% (addirittura il 40% dei maschi) ritiene di non farlo. Considerando che iscriversi all’Università non significa – purtroppo – arrivare a conseguire la laurea (la dispersione in Italia è fortissima: 523.900 abbandoni solo nel 2017- fonte Commissione Europea), il dato odierno certo non ci fa sperare di poter scalare la classifica europea della percentuale di laureati che ci vede drammaticamente penultimi (27% di laureati nella fascia d’età 30-34 anni) davanti solo alla Romania, e con una percentuale quasi doppiata da paesi come Francia, Regno Unito o Spagna con i quali normalmente ci confrontiamo. Ma c’è di più: il confronto con il dato emerso dall’indagine Laboratorio Adolescenza – Iard del 2018 (su un campione del tutto sovrapponibile), secondo cui a progettare il percorso universitario era stato il 76,8% del campione e ad escluderlo appena il 22,9%. In quattro anni un saldo negativo di quasi 15 punti percentuali. «Un’evidenza preoccupante – afferma Ivano Dionigi, Presidente di Alma laurea e già Rettore dell’Università di Bologna – figlia di almeno quattro fattori. Una progressiva sfiducia degli adolescenti nei confronti del futuro – certamente alimentata dai due anni di pandemia – ma, soprattutto una sfiducia nei confronti del mondo adulto, di cui l’Università è certamente una componente iconica, nei confronti dal quale mondo adulto gli adolescenti stanno attuando una vera e propria secessione. A questo si aggiungono due elementi oggettivi: la difficoltà a trovare lavoro dopo la laurea e il costo degli studi universitari che incide sempre di più sui bilanci familiari se consideriamo l’impoverimento generale della popolazione, e della classe media in particolare, a cui stiamo assistendo negli ultimi anni».
Invertire la tendenza
Il calo del 3% degli iscritti all’Università nell’anno accademico 2021-2022, dopo anni di crescita, è già più che un campanello d’allarme. D’altra parte vedere fratelli maggiori o amici cercare per anni un lavoro adeguato dopo la laurea o accontentarsi di lavori per i quali spesso non sarebbe necessario neanche un diploma, certamente non è un incentivo a frequentare l’Università. Ma quale strada è possibile prendere per invertire questa tendenza che porta dritta ad un pericolosissimo impoverimento culturale? «Certamente la prima risposta è creare le condizioni per aumentare l’offerta di lavoro – evidenzia ancora Dionigi – ma rendere gratuito il primo triennio, condizionando ovviamente la gratuità al profitto, sarebbe comunque un forte incentivo. Sarebbe uno straordinario investimento in cultura che, lo sappiamo bene, ha sempre un rendimento altissimo».
FONTE: CORRIERE DELLA SERA